TheEveryPlace intervista Luca Chiaese, napoletano, figlio di ristoratori, nel 2018 con PCC apre un’azienda di produzione alimentare e nel 2020 fonda, insieme a Roberto Guarino, Vestalia, il brand che commercializza i sughi della tradizione.
Luca, analizzando il tuo percorso imprenditoriale sembra che tu sia in perfetta sintonia con la rinascita che ha vissuto la tua Napoli in questi stessi anni, e i tuoi successi con Vestalia paiono rispecchiare gli stessi elementi di valore della città. Una Napoli giovane, in fermento ma con tanta storia e tradizione da raccontare, con l’amore folle per il cibo e la voglia di valorizzare le proprie radici, pur guardando al futuro e alla ricerca. Una vera rinascita che parte dai Quartieri: è proprio lì che inizia la tua storia, vero?
È vero: i nostri piccoli traguardi coincidono in parte con la rinascita di Napoli. Quello che ci lega alla città è viscerale visto che partiamo con dei sughi tradizionali proprio del nostro territorio. In questi anni abbiamo visto nascere e seguito alcune realtà di altri giovani che si sono messi in gioco come noi (che siamo ancora relativamente giovani): anche in queste realtà Napoli si manifesta attraverso la sua bellezza ricca di storia, una bellezza tutta naturale, la bellezza di una città fatta da Dio, toccata da Dio che si rivela nelle sue forme. Dio a Napoli è nel Vesuvio che sta sul Golfo ma anche nell’aria che respiri, nei momenti di gioia che sembrano quadruplicati rispetto ad altri posti. Ho avuto la fortuna di viaggiare tanto ma a Napoli, oltre a sentirmi a casa, sto veramente bene: quando cammini per le vie della città non puoi annoiarti, non puoi essere triste.
Noi ci sentiamo particolarmente identificati con il nostro territorio e in relazione al legame della città con i nostri piccoli traguardi non posso non sottolineare che Napoli ha dalla sua il cibo: a Napoli si mangia bene e non è vero che si mangia bene ovunque ma è sempre vero che qui chiunque inizi un’attività di ristorazione non lo fa solo per tirare a campare, non lo fa per portare avanti una famiglia, lo fa perché in fondo ha una vera passione nei confronti del cibo. È difficile trovare un napoletano che non sia innamorato del cibo e che non sia legato al cibo della propria tradizione. Siamo abituati a certi odori, a certi sapori, a quei profumi che ci ricordano casa e che ci fanno sentire protetti. Noi come azienda di produzione abbiamo voluto raccontare questo: volevamo far ricordare gli odori, i sapori a chi Napoli ce l’ha nel cuore come ce l’abbiamo noi, ma che non ha la fortuna di viverla come la viviamo noi tutti i giorni perché magari è lontano per esigenze lavorative, per aver seguito un amore o per qualunque altro motivo. E noi vogliamo che il nostro barattolo oltre a far stare bene, a far mangiare bene, sia un ricordo di casa ed è quello che abbiamo voluto raccontare anche attraverso le nostre campagne pubblicitarie.
Ciò che contraddistingue principalmente la vostra mission è la qualità del cibo, unita al rispetto della stagionalità e all’assenza totale di conservanti: avete creato persino una linea di sughi dedicata all’olio evo monovarietale. Quali sono le tecniche produttive che usate per fare la differenza? E qual è il messaggio che avete voluto mandare ai consumatori con queste precise scelte aziendali?
Siamo un’azienda di produzione alimentare: è quello che ci contraddistingue. Ho ereditato la cultura del cibo inteso come qualità, nel senso di mangiare poco ma bene, magari anche meno, però bene. È una regola che mi deriva dall’esperienza maturata all’interno delle attività di famiglia quella per cui la qualità paga sempre, magari impiega più tempo ma paga sempre.
Lavoriamo i prodotti rispettando la stagionalità degli stessi perché, se è vero che apparentemente non c’è più una vera stagionalità degli ortaggi e forse magari neanche di alcune verdure e della frutta, noi sappiamo bene qual è il momento migliore, il momento di massima bontà, per raccogliere un determinato elemento dalla terra. Ecco perché cerchiamo di acquistarlo e lavorarlo proprio in quel suo momento migliore, rispettandolo e onorando quello che la terra ci offre. Non siamo un’azienda a chilometro zero, non abbiamo terreni, non ci vendiamo per questo: siamo un’azienda che produce qualità, con la volontà di offrire un prodotto di qualità. Lo esprimiamo in tutte le possibili salse (è proprio il caso di dirlo), attraverso tutti gli elementi, con la carne che usiamo, solo carne italiana selezionata. Inoltre, questa idea si ritrova anche nelle persone che lavorano con noi, nei fornitori, perché sin dal giorno zero ci siamo circondati e abbiamo formato solo persone che la pensano come noi, che agiscono come noi.
Lo esprimiamo anche attraverso l’olio perché lavoriamo con un olio assolutamente di qualità, La Finezza, in una collaborazione che vede l’utilizzo di tre monovarietali usati per tre sughi diversi abbinati a tre Regioni italiane: Cultivar Ravece in Ragù Napoletano, Cultivar Coratina in Broccoli e Salsiccia e Cultivar Cerasuola in Pesce Spada e Melanzane.
Ovviamente tutto questo non è sufficiente per far sì che il nostro prodotto possa essere buono e mantenersi a temperatura ambiente: abbiamo studiato delle tecniche che dal principio erano assolutamente innovative, si potevano trovare solo in qualche libro di tecnologia alimentare e noi le abbiamo validate attraverso prove e prove infinite, lunghe e onerose. E ancora oggi usiamo un trattamento termico che è più caro rispetto alla classica pastorizzazione ma è quello che ci permette appunto di non avere conservanti all’interno e di mantenere il prodotto quanto più naturale possibile bilanciando sapori, odori, cotture e garantendo, oltre alla qualità, la sicurezza alimentare. A supporto di tutto questo mi piace ricordare che i nostri primi promoter sono stati bambini, la nostra prima campagna nelle strade della nostra Napoli ha avuto come protagonisti proprio i bambini che mangiavano il nostro prodotto in maniera assoluta, senza pasta. Un prodotto che può essere mangiato serenamente da un bambino tanto è buono, di qualità, naturale e senza conservanti né coloranti.
A proposito di campagne pubblicitarie, nel recente spot Vestalia andato in onda in tv avete rivolto un tributo a un’icona della ristorazione napoletana. Quanto è importante per te la tradizione di famiglia e come siete arrivati a produrre la più celebre genovese napoletana in vasetti di vetro?
Non lo so quanto sia un’icona della tradizione napoletana la cucina del ristorante di famiglia, nella figura di mia mamma che cucina appunto nelle vie di un quartiere iper popolare come quello della Pignasecca. Sono tremendamente legato al quartiere e al ristorante, per me è un quartiere che non ha perso la sua tradizione. E non so quanto sia un’icona la figura di mia mamma per Napoli, ma so quanto è stata fondamentale per il nostro percorso. Noi partiamo da lì, dalla sua genovese, quella che ha ereditato da mio nonno e che ci siamo fatti raccontare nei suoni, nei rumori e nei colori oltre che nella ricetta e nelle tecniche che ancora oggi manteniamo, nonostante la grande mole di prodotto che realizziamo. Partiamo da lì, partiamo da quel ristorante e partiamo con quel prodotto. Il progetto inizia dal desiderio di mettere la genovese napoletana in vasi di vetro senza conservanti. E io e Roberto abbiamo custodito quello che era un dono di mio nonno a mia mamma e di mia mamma a noi. Lei ci ha seguito e ci ha aiutato a costruire, ad affinare, per poi lasciarcelo per consentirci di attuarlo con le tecniche che dovevamo e abbiamo imparato. Oggi produciamo la genovese napoletana in vasi di vetro e la brandizziamo anche a marchio Biancomangiare, che è il suo ristorante, e questo perché siamo tanto legati a questo prodotto. La nostra azienda di produzione produce non solo per Vestalia, ma produce anche per altri brand, e la nostra genovese è un dono che noi custodiamo gelosamente. Cerchiamo di rendere uniche tutte le ricette per i nostri clienti che ne hanno una magari da voler fare, ma quella per cui non scendiamo a compromessi è la genovese: noi non la lasciamo a marchio ad altri. Esce a marchio Vestalia e Biancomangiare, due realtà sicuramente diverse ma vicine quando si parla di genovese e quando si parla di tradizione.
Nello spot di Sky ci siamo fatti aiutare anche da Francesco Sodano, uno chef stellato che è stato il nostro consulente per molte ricette e anche lui, nel suo essere uno straordinario esecutore di cucina, attua delle tecniche che sono all’avanguardia. Noi ci teniamo stretti i legami con la nostra terra e con le nostre tradizioni: la genovese napoletana veniva spesso confusa col pesto alla genovese ma forse ultimamente le cose stanno cambiando e non accade più così spesso: questo fa capire quanto sia importante per noi questo prodotto, quanto lo è per Napoli e quanto Napoli si stia identificando con la sua cucina, per esempio con questo prodotto povero della sua cucina.
Napoli lo scorso anno si è colorata a festa per la vittoria dello scudetto. The Every Place ha avuto modo di passare in città diverse volte. Abbiamo notato diversi brand importanti festeggiare pubblicamente con messaggi alla squadra e alla città. Anche tu hai messo in campo iniziative di questo tipo?
Lo scudetto: che magnifico ricordo avete tirato fuori. Sono un tifoso del Napoli e oggi purtroppo ho molto meno tempo per poterlo seguire. Negli anni ho fatto tantissime trasferte, soprattutto europee e conciliavo la passione del viaggio con quella del Napoli. viaggiare, seguire il Napoli, andare allo stadio. La vittoria dello scudetto è stata l’apoteosi, la chiusura di un ciclo, un desiderio, un sogno che avevo nel cuore. La città era in fibrillazione sin da gennaio quando, avendo accumulato tanti punti di vantaggio, non si parlava di altro. Le strade erano state messe a festa con striscioni ancor prima della vittoria matematica (tra l’altro contro l’indole del napoletano che è sempre scaramantico). Questa cosa, invece, tanto l’abbiamo accarezzata tutti i giorni che ci sembrava di averla tra le mani da sempre, ci sembrava una cosa dovuta. Allora ancora abitavo a casa dei miei genitori che si trova a pochi passi dal murales, e lì era scudetto. Tutti i giorni festeggiavano uno scudetto al giorno, le strade erano colorate di azzurro, non si parlava d’altro nei bar, dai barbieri, addirittura nei parrucchieri da donna: tutti, grandi e bambini, uomini e donne, non c’era più distinzione. Aspettavamo la matematica certezza dello scudetto ma nel frattempo ognuno in cuor suo lo festeggiava.
Hai poco più di trent’anni, sei già un imprenditore affermato che esporta la qualità made in Italy in Europa e in America e che dà lavoro a molte persone ma resti a Napoli. Raccontaci i tre luoghi della città a cui non potrai mai rinunciare.
Ci sono tanti posti che sono stati resi celebri. Si potrebbero scrivere dei libri su alcune strade che hanno scandito il tempo con i cori da stadio per il Napoli. Sicuramente i murales, i Quartieri Spagnoli sono il posto in cui sono nato e a cui mi sento particolarmente legato. Un altro è quello della Pignasecca: due quartieri molto popolari, la Pignasecca inoltre è uno dei mercati all’aperto più antichi d’Europa. Lì senti l’odore del pesce, della frutta, della verdura e le urla dei commercianti che incitano le persone ad andare a comprare prodotti alle loro botteghe. Questa cosa caratterizza fortemente Napoli perché i commercianti in realtà non urlano, cantano e dicono parole incomprensibili a volte anche per i napoletani ma che sanno di felicità, di gioia e danno valore al lavoro che fanno, alla situazione che stanno vivendo in quel momento. A Napoli il lavoro pesa la metà, in Pignasecca pesa un quarto. Un altro posto a cui sono legato è la collina di Posillipo. Un luogo, a differenza degli altri due, molto meno popolare, un quartiere in cui vivono i calciatori e dove ci sono le ville meravigliose che danno sul mare, sul Golfo di Napoli, sul Vesuvio. Ed è per questo, forse, che è il mio preferito, perché da lì il Vesuvio ti sembra di toccarlo con le mani, non ti sembra più imponente sembra un tuo pari, alla tua stessa altezza, ti sembra che ti entri dentro e che ti leghi in maniera ancor più viscerale. Napoli è amore, passione, legami. A Napoli abbiamo sempre sbagliato esaltando le cose brutte, manifestando sempre, mettendo sempre in prima file le cose brutte che accadono in città ma che in realtà succedono in tutte le grandi città. Nella nostra, forse, c’è meno cultura, intesa come intelligenza nel seguire percorsi di studio che ti evitano la strada. Però c’è l’intelligenza, la scaltrezza, il napoletano che ne trova sempre una per poter vivere, tirare a campare, nei quartieri popolari almeno è così. Mi sento particolarmente legato a questi posti perché ci sono nato, ci sono cresciuto, come persona e come bambino, come uomo e come lavoratore. Il centro storico è qualcosa di fantastico e Posillipo è tutto, è vita, è amore, è la collina che ti fa guardare il mare e ti fa perdere e ti fa immaginare, ti fa sognare e ti fa credere che puoi realizzare quello che hai nella testa e nel cuore: un po’ come abbiamo fatto noi con Vestalia.
Ci piace tantissimo esportare il prodotto perché esportiamo l’Italia, la napoletanità, il made in Italy, la tradizione, il nostro cuore. Avevo un sogno quando siamo partiti che era quello di esportare il prodotto negli Stati Uniti e ci siamo riusciti, ho mantenuto la promessa che avevo fatto. Potremmo esportare ovunque ma in realtà la gioia più grande è quando vediamo il nostro prodotto nelle vetrine dei quartieri di Napoli, dei locali di Napoli dei megastore di Napoli. Nelle be botteghe di chi il prodotto lo vuole vendere e lo sa vendere, e lo sente suo perché si sente legato a quel prodotto. Ecco, non c’è gioia più grande, esportiamo in Europa ma vendere in casa è un po’ come ribaltare la storia che nessuno è profeta a casa sua. Noi non siamo dei grandissimi profeti in patria però quando cogliamo l’opportunità di poter selezionare qualcuno che vuole il nostro prodotto all’interno dei suoi negozi e dei suoi ristoranti noi siamo più felici che se ne portassimo dieci pedane dall’altro lato del mondo.